domenica 16 marzo 2008

Da "Diario di scuola" (D. Pennac)

"Statisticamente tutto si spiega, personalmente tutto si complica."
"Ho provato presto il desiderio di fuggire. Dove? Non è chiaro. Diciamo fuggire da me stesso e tuttavia dentro di me. Ma in un io che fosse accettato dagli altri."
"Dove sta il fascino della banda? Nel potervisi dissolvere con la sensazione di affermarsi. Gran bella illusione d'identità."
"La nascita della delinquenza è l'investimento segreto nella furbizia di tutte le facoltà dell'intelligenza."
"Ma guardiamoci bene dal sottovalutare l'unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempo pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono.[...] Gli insegnanti che mi hanno salvato non erano formati per questo. [...] Hanno capito che occorreva agire tempestivamente e si sono buttati. Non ce l'hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora... Alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri con me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita."
" - Lo sa qual è l'unico modo per far ridere il buon Dio? Raccontargli i propri progetti. - In altre parole, niente panico, non c'è nulla che vada come previsto, è l'unica cosa che ci insegna il futuro quando diventa passato."
"Poi venne il mio primo salvatore. Un professore di francese. In prima superiore. Che mi scoprì per quello che ero: un affabulatore sincero e allegramente suicida."
"Insomma diventiamo. Ma non cambiamo granché. Ci arrangiamo con quello che siamo."
"Poiché per quanto strano vi possa sembrare, o nostri allievi, voi siete impastati delle materie che vi insegnamo. Siete la materia stessa di tutte le nostre materie. Infelici a scuola? Forse. Scombussolati dalla vita? Alcuni, sì. Ma ai miei occhi siete fatti di parole, tutti quanti voi, intessuti di grammatica, tutti, pieni di discorsi, anche i più silenziosi e i meno attrezzati di vocabolario, abitati dalle vostre rappresentazioni del mondo, pieni di letteratura, insomma ognuno di voi, ve lo assicuro."
"Il gioco è il respiro della fatica, l'altro battito del cuore, non nuoce alla serietà dello studio, ne è il contrappunto. E poi giocare con la materia è un modo come un altro per abituarci a padroneggiarla. Non dia del bambino al pugile che salta la corda, è imprudente."
"Sapevamo che se la comprensione del testo è una dura e solitaria conquista della mente, la frase scema stabilisce invece una connivenza riposante che può esistere solo tra amici intimi. Soltanto con gli amici più stretti ci raccontiamo le storielle più stupide, come per rendere un implicito omaggio alla loro raffinatezza intellettuale. Con gli altri facciamo i brillanti, sfoggiamo il nostro sapere, ce lo tiriamo, seduciamo."
"Alla fine tu eri quello studioso, io il pigro. Era questa allora la pigrizia? Questo impantanarsi in se stessi? E lo studio cos'era, allora? Come facevano quelli che studiavano bene? Dove attingevano quella forza? Fu l'enigma della mia infanzia. Lo sforzo, in cui io mi annientavo, per te fu subito promessa di successo."
"Oggi no; è Nonnaccia Marketing a vestire grandi e piccoli. E' lei che veste, nutre, disseta, calza, incappella, rifornisce tutti quanti, è lei che barda lo studente di elettronica, gli fa inforcare roller, bici, scooter, moto, monopattino, è lei che lo distrae, lo informa, lo connette, lo mette sotto flebo musicale costante e lo sguinzaglia ai quattro angoli dell'universo consumabile, è lei che lo addormenta, è lei che lo sveglia e quando lui si siede in classe è lei che vibra nella sua tasca per tranquillizzarlo: sono qui, non aver paura, sono qui, nel tuo telefonino, non sei ostaggio del ghetto scolatico!"
"Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituito, e sui cartelloni della metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell'abbandono. Sono bambini, tutti e cinque. Strumentalizzati, tutti e cinque."
"E' questo l'amore in materia di insegnamento, quando gli studenti volano come uccelli impazziti. [...] Salvare dal coma scolastico le rondini sfracellate. Non sempre si riesce, a volte non si trova una strada, alcune non si ridestano, rimangono sul tappeto oppure si rompono il collo contro il vetro successivo: costoro rimangono nella nostra coscienza come le voragini di rimorso in cui riposano le rondini morte in fondo al nostro giardino, ma ogni volta ci proviamo, ci abbiamo provato. Sono i nostri studenti. Le questioni di simpatia e di antipatia per l'uno e per l'altro non c'entrano. Nessuno di noi saprebbe dire il grado dei nostri sentimenti verso di loro. Non di questo amore si tratta. Una rondine tramortita è una rondine da rianimare, punto e basta."

4 commenti:

Sylvie Malaussène ha detto...

Un duro, durissimo colpo per noi pennacchiani, abituati all'ironia e al genio di Papà Malaussène.
"Diario di scuola" parte con le migliori intenzioni ma alle
frizzanti analisi della 'somaraggine' e del disagio delle banlieues segue presto una gigantesca, ciclica, labirintica elucubrazione mentale.
Non si approda a nulla, probabilmente perché in Monsieur Pennac il rapporto con il somaro che è stato non è ancora del tutto risolto.
Sta di fatto che, dopo il primo slancio, la narrazione stagna. Il lettore si perde in un flusso di coscienza infinito fino a sentirsi di troppo nel 'tra sé e sé' dell'autore.
Sul finale corre a salvare le sorti una riflessione di stampo sociologico sulla Nonnaccia Marketing e sui bambini strumentalizzati.
In chiusura l'immagine delle rondini, commovente ma incapace di risollevare il tutto.
Rimane un senso di indefinito: si è concluso un saggio o di un diario?
Siamo lontani dal Pennac di Come un romanzo per non parlare di quello della saga Malaussène.
Solo un grido: papà, ma dove sei finito???!!!

Gio Palla ha detto...

e sì ..io sono tra gli impantanati...superata la metà del libro ancora mi sto chiedendo se alla presentazione ne hanno letto troppo.. ovviamente il meglio.. e ora mi appare scontato o se sono alle prese con un libro che analizza, analizza ma non lascia poi molti consigli ..forse vuol essere solo un invito alla riflessione.. in fondo nessuno ha le chiavi del vivere tanto meno nei panni di un somaro che ha avuto un gran lieto fine!

Sylvie Malaussène ha detto...

Il punto, invece, è che il Pennac professore sembra avere tutte le chiavi del Pennac somaro. E' l'intento didascalico che ha rotto la magia, questo voler insegnare qualcosa a tutti i costi, il voler esaurire tutti i lati e le sfaccettature della realtà scolastica. Ho perso quella sensazione di amare un scrittore che s'inchina di fronte al caos di Belleville e della vita.
Alla presentazione hanno letto solo la decina di pezzi più belli: il problema è che tutto il libro si muove sulla falsariga di questi.

Anonimo ha detto...

A me è piaciuto, molto.
É vero, non é il solito Pennac. Ma è davvero necessario che lo stile personale diventi un'etichetta?
È anche vero che sono un'insegnante di letteratura, ho amato ogni spunto, ogni citazione, ogni passaggio biografico più o meno doloroso.
Non mi ha dato soluzioni o insegnamenti. Vi ho trovato decine di piste.
Non sono mai stata un "somaro", ma ho potuto immedesimarmi senza problemi, come lui sa fare.
L'ho letto una volta e lo leggerò di nuovo.
Virna