domenica 16 maggio 2010

Da "Olive Kitteridge" (E. Strout)


"A mia madre, che sa rendere magica la vita ed è la migliore narratrice di storie che io conosca."
"Ormai in pensione, si sveglia ancora presto e ricorda come le mattine fossero sempre state il suo momento preferito, come se il mondo fosse il suo segreto."
"O forse, penso mentre tornava agli scatoloni, essere cattolici significava sentirsi sempre in colpa per tutto."
"Ci si adatta alle cose, senza in realtà abituarsi, pensa Henry."
"La gente non è mai tanto sperduta come credi tu."
"Si può imparare ad amare una persona."
"A volte si aveva torto a credere di sapere quel che avrebbe fatto il prossimo."
"Non puoi vincere. [...] Puoi solo fare del tuo meglio."
"Chi, chi non ha il suo cestino da viaggio?"
"Non importa. [...] Se ti manca qualcuno non smetti mai."
"Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi."
"Se comprendiamo per quale motivo facciamo certe cose, non ripeteremo gli stessi errori."
"L'amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in giro per l'ennesima volta."
"Sprechiamo inconsciamente un giorno dopo l'altro."
"Olive aveva gli occhi chiusi, e la sua anuma stanca era attraversata da ondate di gratitudine, e rimpianto. Immaginò la stanza piena di sole, le pareti accarezzate dai raggi, i cespugli là fuori. Il mondo la confondeva. Non voleva ancora lasciarlo."

1 commento:

Sylvie Malaussène ha detto...

La copertina di una delle edizioni del libro.

Questo libro è come un tulipano, il fiore prediletto di Olive. Tanti petali di un unico colore, un solo punto di incontro. La Strout ci conduce nel suo Maine, lo racconta attraverso la città di Crosby, i suoi paesaggi malinconici, i suoi cittadini, lo riassume con Olive e il suo inconfondibile punto di vista. Non sempre è lei la protagonista dei racconti, spesso è solo un personaggio marginale che li collega tutti.

I veri protagonisti del libro sono la città e lo spirito che pervade tutti i personaggi. Sono pochissimi i momenti di felicità. Incontriamo uomini e donne al limite nascosti sotto i provinciali sorrisi di facciata. Mariti scontenti della loro vita coniugale, tradimenti solo immaginati, figli schiacciati da genitori tremendamente onnipresenti, genitori delusi dalle scelte di figli che credevano di conoscere, manie e paranoie tenute nascoste, grandi solitudini.

E poi c’è Olive, insegnante di matematica in pensione, sposata con l’adorabile e ingenuo farmacista Henry e madre di Christopher, prima ragazzo difficile, poi podologo e marito depresso. L’autrice insiste spesso sulla fisicità della donna, così massiccia ed ingombrante, metafora di una personalità forte ma inadeguata alla piccolezza dell’ambiente, spesso trasformata in diversità e goffaggine.

La Strout sceglie il punto di vista di Olive proprio per questa sua alterità: lei è incontenibile, sarcastica, critica, eccentrica, brontolona ma le sue manifestazioni plateali e rumorose mettono ancora più in risalto l’ottusa accettazione e le torbide menzogne di chi a Crosby si è rassegnato ad una vita che non ama e ha scelto la via della finzione e dell’isolamento.

Olive è schietta e insofferente nei confronti del genere umano, sempre pronta a terrorizzarlo con le sue freddure. È bellissimo leggere della sua crescita, della presa di coscienza dei suoi errori, dei momenti mancati, dei sentimenti inespressi. Salutarla mentre, ormai anziana, sceglie di nuovo di non abbandonarsi al declino perché “il mondo la confondeva. Non voleva lasciarlo”.

Una scrittura lineare e nostalgica, un’analisi eccellente dell’animo umano.