lunedì 23 gennaio 2012

Da "Il ladro di merendine" (A. Camilleri)

“Fai quello che vuoi. Ma non parlare, te lo dico come un fratello e nel tuo stesso interesse, non parlare per nessuna ragione al mondo. Se m’interrompi mentre sto mangiando questo nasello, sono capace di scannarti.”
“Aurelio Lapecora aveva disperatamente domandato al figlio d’essere aiutato e quello, tra lui e suo padre, ci aveva messo di mezzo l’Oceano.”
“Un autentico cretino, difficile a trovarsi in questi tempi in cui i cretini si camuffano da intelligenti.”
“Taliò la copertina, il risvolto, lo richiuse. Non arrinisciva a concentrarsi. Sentiva crescere in lui, lentamente, un acuto disagio. E a un tratto ne capì la ragione. Ecco, quello era un assaggio, un anticipo dei quieti, familiari, domenicali pomeriggi che l’attendevano, magari non più a Vigàta ma a Boccadasse. Con un bambino che, svegliandosi, l’avrebbe chiamato papà invitandolo a giocare con lui… La botta di panico lo pigliò alla gola.”
“Montalbano e Valente manco parsero averlo sentito, sembravano pigliati da altri pinsèri, e invece erano attentissimi, facevano come i gatti che, quando tengono gli occhi chiusi e mostrano di dormire, stanno invece contando le stelle.”
“ – Non ci si difende mentendo con uno che ha detto la verità! -“
“Per un attimo, ma solo per un attimo, il tortino gli andò di traverso a causa di un pinsèro che gli passò per la testa: l’ha fatto per farsi perdonare la storia di Mimì. Poi la bontà del piatto ebbe il sopravvento.”
“Il commissario pigliò il picciliddro per mano e principiarono a caminare a lento a lento. Per un quarto d’ora non dissero una parola. Arrivati a una barca tirata a sicco, Montalbano s’assittò sulla rena, François gli si mise allato e il commissario gli passò un braccio attorno alle spalle. – Io persi a me matri ch’era macari cchiù nicu di tia - esordì. E iniziarono a parlare, il commissario in siciliano e François in arabo, capendosi perfettamente.”
“Montalbano si commosse. Quella era l’amicizia siciliana, la vera, che si basa sul non detto, sull’intuito: uno a un amico non ha bisogno di domandare, è l’altro che autonomamente capisce e agisce di conseguenzia.”
“Era in anticipo per l’appuntamento con Valente. Fermò davanti al ristorante dov’era già stato la volta precedente. Si sbafò una sautè di vongole col pangrattato, una porzione abbondante di spaghetti in bianco con le vongole, un rombo al forno con origano e limone caramellato. Completò con uno sforma tino di cioccolato amaro e salsa all’arancia. Alla fine si susì, andò in cucina e strinse commosso la mano al cuoco, senza dire parola. In macchina, verso l’ufficio di Valente, contò a gola spiegata. – Guarda come dondolo, guarda come dondolo, col twist…”
“Montalbano fece un’inversione a u proibitissima in quel tratto, andò dritto in cucina e spiò al cuoco, senza manco salutarlo: - Ma lei, le triglie allo scoglio, come le cucina?”
“Arriva un momento – pinsò – nel quale t’adduni, t’accorgi che la tua vita è cangiata. Ma quando è successo? – ti domandi. E non trovi risposta, fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze. Spii e rispii ma la risposta a quel quando non la sai trovare. Come se avesse importanza, poi!”
“Almeno una volta ogni tre mesi me ne scappo qua, non lascio né indirizzo né telefono. Mi depuro, passo le acque della solitudine, questo posto per me è come una clinica nella quale mi disintossico da un eccesso di sentimenti.”

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