giovedì 28 gennaio 2010

Da "Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie" (T.Burton)


"Arrivò quel fagotto e fu
un grumo senza gioia:
ohibò
quel bambino era
un robot."

"Per conto suo il bambino
diventò un giovanottone
anche se troppo spesso
e a calci e sputi
lo prendevano per un Bidone,
di rifiuti."

"Ti fissava per ore
e non sapevi perché."

"Il bambino con i chiodi negli occhi
piantò il suo alberello d'alluminio.
Ma cresceva di sbieco
perché lui era cieco."

"E' bello conoscere una bimba
con tanti occhi sotti i capelli,
ma non quando piange,
perché sui vestiti stinge."

"Accanto a Superman o Batman,
può forse sembrare banale,
ma per me è del tutto speciale
e vale più d'una acca:
è il bambino Supermacchia.
[...]
So che a volte sta male
perché non sa correre o volare
e per quella sua sola abilità,
paga un conto salato nella lavanderia
della città."

"Sì, aveva ai piedi
dieci dita dieci.
Sì, aveva alle mani
dieci dita dieci,
ci sentiva e ci vedeva,
in bagno ci poteva andare,
ma bastava tutto questo
per essere normale?
[...]
Che suo figlio
sia un'Ostrica a metà
non mi può incolpare,
pensate piuttosto a una casa
in riva al mare.
[...]
Una croce di bambù
rimase sull'arenile, laggiù
a ricordare, contro l'onda,
la tomba del bambino Ostrica
e una breve preghiera
scritta sulla sabbia a Gesù,
che l'avrebbe portato nel cielo,
lassù.
Ma un'onda d'alto mare,
veloce, asciugò la scritta
e si prese quella croce, né storta
né dritta."

"Eppure anche lei è preda
di un maleficio da superstrega,
un sortilegio che non può
spezzare: se qualcuno le
si avvicina gli spilli si
fanno spina e nel cuore
vanno ad affondare."

"E l'ultimo respiro della sua breve vita
fu malsano e disperato.
Chi mai avrebbe pensato
che si poteva morire così:
di mattina per una boccata
d'aria fina?"

1 commento:

Sylvie Malaussène ha detto...

“Sono figure struggenti, disegnate con grafite e parole in neogotico, piccoli E.T. spaesati e fiabeschi che emanano ad ogni parola, ad ogni gesto un alone meraviglioso, di incantesimo, subito frustrato dagli adulti, genitori, medici o "normali" che siano”: questo il commento di Nico Orengo, grande scrittore italiano da poco scomparso, traduttore dell’opera di Burton.
Ventitré storie di mondi senza tempo, ventuno personaggi senza passato, presente e futuro. Lì incontriamo all’improvviso, cogliamo il loro disagio, ci stupiamo della loro coscienza di non poter cambiare le cose. Sono creature infantili, alcune umane ma deformi (come il Bambino Ostrica, la Bambina con molti occhi, Lalla e Testa di Melone), altre fantastiche (come la Bambina Voodoo e la Regina Puntaspilli), altre ancora supereroi senza qualità (come il Bambino Supermacchia).
Vivono in una condizione di esilio dal mondo ‘normale’, sospesi tra l’apatica accettazione di un destino avverso, la voglia di risolvere i propri guai, la ricerca di qualcuno altrettanto solo per poter condividere la propria tragica esistenza, la fine quasi sempre macabra e grottesca.
Le storie si svolgono nell’arco di una sola strofa o occupano più pagine e hanno una durata temporale. Grazie alle illustrazioni, più elaborate e brutali nel primo caso, più descrittive e meno significative nel secondo, la percezione della sofferenza è sempre totale.
Al termine del libro il lettore è pervaso da un non – senso. Alcune storie sono durate troppo poco perché potesse affezionarsi al protagonista, altre non erano così intense, le più lunghe e tragiche, come quelle del Bambino Ostrica o del Bambino Mummia, lo abbandonano in una profonda amarezza.
Il punto di forza che fa amare l’opera di Burton, nonostante la forzata e folcloristica traduzione di Orengo, è il suo modo geniale di descrivere i sentimenti più cupi dell’animo umano: la sua fantasia gotica, infatti, estranea il lettore e lo accompagna in punta di piedi verso un mondo lontano, quello della diversità.

Imperdibile per gli estimatori di Burton, un punto di partenza raffinato per chi inizia a conoscere il regista di capolavori come Edward mani di forbice e La sposa cadavere.